[di Sergio Maset
Articolo pubblicato su La Tribuna di Treviso il 11 giugno 2016]
Hanno ampia eco in questi giorni le prese di posizione delle associazioni di rappresentanza: il giudizio nei confronti delle vicende degli istituti bancari e, più in generale, il richiamo alla necessità, per la società veneta, di una responsabile consapevolezza dei propri limiti. Non serve fare un riassunto del dibattito.
Ebbene, attenendomi al richiamo, voglio mettere in luce un elemento di profonda e intrinseca debolezza nel mondo della rappresentanza politica e associativa. La debolezza risiede nella strutturale incapacità di generare posizioni antagoniste. Si potrebbe dire, con una lettura sociologica, che nella società veneta si teme una competizione aperta sui tavoli politici. Le crisi – adesso si discute di quelle bancarie – generano smarrimento, spaesamento: ma mai sono cavalcate da alcuna leadership emergente. Questo è il problema!
Non si vedono seconde guardie che, approfittando della situazione di debolezza, spodestano alcuno. Perché questo non succede? Nel mercato se io mi indebolisco, qualcuno prende il mio posto. È questa costante tensione che ci porta ad un continuo e salutare adattamento competitivo. Ad un politico navigato, una decina di anni fa, quando in Veneto si parlava di termovalorizzatori, avevo chiesto quale effetto avrebbe avuto su un sindaco chiamato a dover decidere per il proprio comune, il fatto che il suo partito si fosse espresso a favore di un utilizzo dei termovalorizzatori. La sua risposta è stata chiara e ferma: “Non puoi chiedere ad un sindaco di condannarsi alla morte politica. Il sindaco risponderà ai suoi referenti, che non sono il partito nazionale ma la sua rete di consenso locale. Se si esprimesse in linea con il partito senza costruire un consenso attorno, qualcuno prenderebbe il suo posto”.
Il problema dunque non è quello che è successo nel sistema bancario veneto, ma ciò che non è successo durante e all’apice delle crisi. Non si poteva pensare che chi stava a capo delle banche le riformasse dall’interno perché, anche ammesso che ci fosse l’interesse soggettivo a farlo, non avrebbe avuto il consenso per portarlo a termine. Nello stesso tempo, sarebbe chiedere troppo alla nostra intelligenza dimenticare che le tensioni con la Banca d’Italia proseguivano da anni. Dunque, in teoria, non è mancato né il tempo né lo spazio perché emergessero delle leadership alternative. Dare la colpa a Banca d’Italia per non aver adeguatamente vigilato serve a poco per il futuro. Se la classe è indisciplinata con la maestra, la soluzione non è certo mettere una bidella a controllare. Il fatto sostanziale è che mentre Banca d’Italia sollevava eccezioni, non è emersa alcuna linea antagonista che fondasse la sua legittimazione sulla domanda di discontinuità. Nessuno ha costruito una leadership alternativa.
Quali sono dunque gli anticorpi che un sistema, tutti i sistemi, basati sulla rappresentanza e sul consenso devono darsi? Esattamente la possibilità di poter generare al loro interno delle linee di pensiero antagoniste: un dissenso regolato le cui basi stesse delle regolazioni si fondano in una seria rendicontazione delle scelte e della gestione di chi è invece pro-tempore al governo. Senza appellarsi a meccanismi formali. Se non facciamo questo salto, che richiede di accettare che la concorrenza non è solo nel mercato ma anche nel governo dei beni collettivi, possiamo già prepararci alla prossima crisi.