[di Sergio Maset
Articolo pubblicato su La Tribuna di Treviso, La Nuova Venezia, Il mattino di Padova, il 2 febbraio 2019]
A un anno dal referendum veneto sull’autonomia, il dibattito si è acceso a livello nazionale portandosi sul piano del confronto Nord-Sud e facendo emergere un punto finora per nulla considerato: i meccanismi di contrattazione salariale. Le retribuzioni della pubblica amministrazione, uguali da nord a sud, sono uno strumento di livellamento reddituale del paese, che tira in alto il reddito medio nel sud e lo livella al ribasso nel nord, con una forzata indifferenza ai divari regionali del prodotto interno lordo. Domanda: può una seria riforma autonomista non affrontare il tema della contrattazione regionale? La risposta è negativa perché la spesa pubblica corrente è costituita in larga parte da retribuzioni. Inoltre, l’assenza di omogeneità tra retribuzioni nel pubblico e nel privato pone a mio avviso una questione di equità, tra comparti diversi in una stessa regione, e tra regioni diverse all’interno del comparto pubblico. Il nodo vero dunque è il seguente: è disposto il meridione a mettere in discussione questo meccanismo? A giudicare dalle risposte del mondo industriale meridionale, la risposta è sinora negativa. Tuttavia, e qui sta il punto, non si vedono nemmeno le proposte delle rappresentanze sindacali del nord.
Per venire al Veneto, qui più che in Lombardia e in Emilia Romagna, si respira la frattura tra privato e pubblico impiego. Il privato è l’icona della produttività, contrapposto alla retorica del pubblico, sotto sotto sempre indicato, ahimè, come burocratico, inefficiente e statalista. A 100 anni dalla fine della prima guerra mondiale, primo vero momento unificante dell’Italia, in Veneto le istituzioni pubbliche sono ancora vissute come corpi esterni, borbonici o lombardi. Ecco dunque un nodo problematico nel percorso di riforma autonomista: intervenire su un qualcosa, l’assetto di competenze nella pubblica amministrazione, di cui non si è costruito un interessa della società veneta. Ben diversa è la situazione nel meridione. Posto su questo piano il confronto, la palla torna alla rappresentanza del nord e del Veneto: o si è in grado di costruire un consenso politico per discutere nel merito dei cavilli che spostano risorse (contrattazione decentrata, allocazione del tfr, minimi salariali, ecc), oppure il percorso rischia di condannarsi all’irrilevanza. Perché questo prosegua bisogna partire dal riconoscere che abbiamo bisogno di migliorare le istituzioni e non di meno istituzioni. A fronte di una maggiore complessità, basti pensare alle sfide degli equilibri demografici, della denatalità, della gestione delle risorse energetiche e naturali, abbiamo bisogno di esprimere crescente qualità di gestione politica e amministrativa nella dimensione dell’agire collettivo. E un primo urgente terreno su cui investire è quello dell’istruzione: dalla scuola dell’infanzia all’università, ridando alle istituzioni scolastiche la dignità e le risorse che servono: certamente con una diversa distribuzione delle risorse e non con altra spesa in deficit.