[di Sergio Maset
Articolo pubblicato su VeneziePost – 15 settembre 2017]
Un’indagine realizzata per la Provincia di Trento fa emergere un dato interessante: i giovani, se da un lato ritengono più utile per il loro futuro il rafforzamento delle competenze individuali, dall’altro lato quanto più scelgono di partecipare alla vita sociale organizzata, tanto più riescono a guardare positivamente alla loro dimensione lavorativa e professionale futura.
Il Trentino tra i territori del Nordest è quello che, insieme all’Alto Adige, è cresciuto di più demograficamente; in particolare è riuscito, a differenza di altre regioni del Nord Italia, a esprimere una crescita naturale con un tasso di natalità superiore alle altre. Ciononostante, anche nelle due province autonome si osservano fenomeni di de-giovanimento. Ponendoci di fronte ai fenomeni di crisi e di discontinuità evidenziatisi in quest’ultimo decennio e guardandoli secondo la prospettiva delle politiche per la famiglia, è importante dunque cercare di comprendere se, e in che modo, il venir meno di una serie di certezze inuenza il processo di autonomizzazione dei giovani.
Partendo dall’ipotesi che l’incertezza rappresenti un tratto caratterizzante di questa fase storica, e che richieda in qualche modo di essere governata da ciascuno, una domanda sensata è la seguente: quali sono gli elementi che i giovani ritengono essere un valido aiuto per affrontare il loro futuro, renderli più fiduciosi di fronte al mercato del lavoro e sereni nell’avviare a loro volta un percorso di genitorialità.
Proprio per approfondire queste dinamiche l’Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili della Provincia Autonoma di Trento ha promosso un’indagine su un campione di 360 giovani trentini di età compresa tra i 19 e i 35 anni. La ricerca ha consentito di evidenziare come, negli ultimi 10 anni, per i giovani trentini siano aumentate le condizioni ritenute indispensabili per poter uscire dalla famiglia e andare a vivere da soli: non solo un reddito sufficiente a mantenersi, ma anche la stabilità del lavoro e poi il sostegno economico della Provincia, la casa di proprietà…
In qualche modo i giovani nel 2016 sembrano porsi, e richiedere, maggiori garanzie prima di poter procedere a questo passo di quanto non fosse per i loro coetanei del 2006. E ciò è tanto più vero se si confronta il bisogno di certezze che viene espresso da quanti vivono ancora con i genitori rispetto a quanti vivono già da soli, con una sopravvalutazione del bisogno di garanzie e rassicurazioni. Insomma, l’indipendenza vista dalla finestra della casa paterna fa più paura di quanto non faccia vivendola direttamente. In tale contesto è evidente che la fiducia circa la possibilità di trovare un lavoro sufficiente per mantenersi da soli gioca un ruolo fondamentale: se ritengo che non troverò un lavoro, di fatto non potrò mai andare a vivere per conto mio. Più sono negativo su quel fronte, più sarò pessimista circa la possibilità di potermi realizzare autonomamente. La situazione paradossale, dunque, è che, in una fase in cui sono messe in discussione determinate certezze macroeconomiche, si accresce la fame di rassicurazioni, con il rischio però di generare una crisi di fiducia. Quali sono i punti di forza del Trentino che maggiormente contribuiscono al benessere delle persone? Nella percezione dei giovani al primo posto vi sono la Provincia e il sistema della formazione superiore e universitaria, seguiti poi dalle reti familiari, comunitarie e associative. Un risultato certamente positivo per la realtà trentina e che rende conto dell’impegno dell’amministrazione sul territorio.
Tuttavia, in una prospettiva comparata, è interessante guardare ad elementi che in qualche modo rimandano a fattori generali, superando la specificità. L’analisi in questo senso ha consentito di comprendere l’utilità attesa dai giovani di una serie di fattori: fattori che consentono il rafforzamento delle competenze individuali, fattori che realizzano una partecipazione all’ecosistema, e fattori relativi all’alimentazione della propria sfera affettiva e amicale.
Tutte le dimensioni proposte, ad esclusione dell’essere membro attivo della propria parrocchia e partecipare attivamente alla vita politica, sono ritenute da più di metà dei giovani trentini utili al proprio futuro. Tra queste, sono ritenute utili da almeno il 90% dedicare tempo e attenzione ai propri familiari (96%), migliorare la conoscenza delle lingue straniere (95%), dedicare tempo e attenzione agli amici (91%) ed essere sempre aggiornato sulle iniziative e opportunità della provincia. Migliorare la conoscenza delle lingue straniere è il fattore che raccoglie la più elevata percentuale di risposte molto positive, con un 80% seguito da dedicare tempo e attenzione ai propri familiari (77%). Superiori a 3/4 di risposte complessivamente positive sono anche continuare a studiare e migliorare le proprie competenze (87%), impegnarsi attivamente nel paese o quartiere (83%), apprendere forme di risparmio o investimento finanziario (77%) e apprendere gli strumenti per avviare un’attività imprenditoriale (76%).
Partecipare attivamente ad un’associazione si mantiene ancora al di sopra del 50% di risposte positive (68%), mentre essere membro attivo della propria parrocchia e partecipare attivamente alla vita politica sono giudicati abbastanza o molto utili per il proprio futuro rispettivamente dal 39% e dal 38% dei giovani.
Apparentemente nulla di particolarmente innovativo: famiglia e competenze come fattori chiave. Tuttavia, se si analizzano questi risultati ponendoli in relazione con la fiducia sul trovare in futuro un lavoro emerge che chi attribuisce importanza alla partecipazione all’ecosistema (organizzazioni, associazioni di volontariato, pro-loco e finanche la parrocchia) è anche tendenzialmente più fiducioso sul suo futuro. Una analisi di regressione dei tre macro fattori (competenze individuali, rete affettiva, partecipazione) sulla fiducia circa la possibilità di trovare un lavoro che consenta una vita autonoma ci dice proprio questo: i giovani, se da un lato ritengono più utile per il loro futuro il rafforzamento delle competenze individuali, dall’altro lato quanto più scelgono di partecipare alla vita sociale organizzata, tanto più riescono a guardare positivamente alla loro dimensione lavorativa e professionale futura.
Il tema merita ovviamente ulteriori approfondimenti. Tuttavia, la ricerca restituisce di per sé un’interessante prospettiva di lavoro e invita a ragionare sul benessere di una comunità non solo dalla prospettiva delle competenze individuali di cui si dotano i singoli, ma anche da quella del capitale sociale di cui gli individui, attraverso la partecipazione attiva, sono al contempo creatori e beneficiari. L’idea di fondo su cui riflettere è che l’incertezza non può trovare risposta in un continuo ed esclusivo accrescimento della dote individuale di competenze secondo l’equazione “più competizione globale, più incertezza, più competenze”. Né, tanto meno, la risposta può arrivare dal ripiegamento affettivo intergenerazionale. Emerge invece la domanda forte di una consapevole partecipazione, che relativizzi il senso di solitudine e di inadeguatezza di fronte ad un contesto globale complesso e incerto e rafforzi l’esperienza di far parte di una comunità di destino. Il terreno di gioco della politica, della rappresentanza e dei corpi intermedi.